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Pnrr e asili nido: inaccettabile l’atteggiamento dei comuni calabresi

Autore: Giancarlo Rafele
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Un bambino si trova in condizioni di “povertà educativa” quando il suo diritto ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze è privato o compromesso.

Gli asili nido sono il primo luogo di socialità del bambino al di fuori della famiglia di origine. Significa che l’asilo può essere un’enorme occasione per ridurre quel bagaglio di disuguaglianze che ereditano, loro malgrado, i bambini provenienti da contesti svantaggiati. Un’opportunità formativa unica, tanto più equa quanto più disponibile anche per le famiglie in disagio economico o meno integrate nella società. Ecco perché rendere i servizi per la prima infanzia universali, più diffusi e accessibili, è una delle sfide decisive nella lotta alla povertà educativa.

Per questo motivo la normativa europea e quella nazionale hanno fissato degli obiettivi da raggiungere nell’offerta di asili nido. Il Consiglio Europeo ha posto come traguardo, per gli Stati membri, che i posti disponibili nei servizi per la prima infanzia coprano almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33% dei bambini sotto i 3 anni. Obiettivo recepito anche dalle leggi italiane, ultimo il decreto legislativo 65 del 2017 che ha ribadito questo impegno.

Obiettivo già raggiunto in alcune regioni quali Trentino, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Umbria, quasi raggiunto da altre 12 regioni italiane del centro e nord Italia, mentre rimane lontano per le cinque regioni del sud Italia. Lontanissimo per la Calabria che si attesta all’8,7% (fonte: Impresa sociale Con i Bambini”) con alcuni comuni calabresi che faticano a recuperare il gap. Catanzaro, per esempio, capoluogo di regione, riesce a coprire soltanto l’1,5% della domanda potenziale. 1,5% contro il 28,3% della media nazionale.

A fronte di questi dati e per portare tutte le regioni in linea col parametro dell’Unione Europea entro il 2025, il Pnrrr stabiliva di aumentare l’offerta di 265mila unità e destinava al Mezzogiorno il 55,29% delle risorse. Risorse che, per il momento, sono rimaste sulla carta. In Calabria, dove frequenta il nido soltanto il 2,2% dei bambini tra 0 e 2 anni, le richieste sono rimaste sotto il 50% del plafond. A differenza dell’Emilia Romagna, per esempio, dove frequenta il nido il 26% dei bambini tra 0 e 2 anni e che, paradossalmente, ha presentato domande in eccesso rispetto alle risorse disponibili. E plasticamente si manifesta uno dei problemi identitari del Pnrr, che nasce per ridurre le disuguaglianze territoriali e rischia invece di allargare la distanza tra le regioni del nord Italia e il Mezzogiorno in crisi.

La mancanza di personale tecnico adeguato alla progettazione ed alla realizzazione degli investimenti hanno frenato la partecipazione dei comuni tanto quanto il timore di non riuscire a gestire i nuovi asili per mancanza di fondi. Ma sono “scusanti” inammissibili. Intanto i comuni possono fare ricorso alla co-progettazione coinvolgendo il terzo settore e nessun problema si palesa, di fatto, sulla questione economica. Il Governo, infatti ha messo sul piatto quasi 1 miliardo di euro di euro fino al 2026 per la gestione dei nuovi asili nido e 1,1 miliardo a partire dal 2027.

Anche su istanza delle parti sociali, tra cui la nostra organizzazione nazionale, il Governo ha deciso di prorogare la scadenza al prossimo 31 marzo. Un’ultima chanche per i comuni calabresi per dotarsi di strutture indispensabili per favorire il contrasto della povertà educativa, per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro delle giovani madri, per tentare di ridurre il gap rispetto alle regioni più avanzate, per tentare di diventare una regione “normale”. Né migliore, né peggiore di altre, una regione normale.

Giancarlo Rafele

Responsabile Legacoopsociali Calabria