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Glossario Fragile – maneggiare con cura: le parole nelle “zone di faglia”

Autore: Maria Pia Mendicino
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Il 27 febbraio presso l’Università La Sapienza di Roma Legacoopsociali ha presentato il Glossario Fragile, una raccolta di parole da maneggiare con cura, risultato del lavoro di indagine e di ricerca del Gruppo Nazionale di Comunicazione di Legacoopsociali coordinato da Giuseppe Manzo, con la supervisione scientifica e il contributo di docenti e ricercatori dell’università e del Cnr. In apertura Eleonora Vanni – Presidente Nazionale Legacoopsociali spiega le ragioni di questo tema: “Legacoopsociali ha 125.000 operatori che si trovano ogni giorno a maneggiare con cura queste parole nelle loro relazioni, nel rapporto interno, nel rapporto esterno con le pubbliche amministrazioni e nel rapporto più complessivo con gli strumenti della comunicazione”.

Andrea Volterrani, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi Università Tor Vergata, interpreta il Glossario come frattura rispetto ai media che non hanno saputo cogliere la centralità di fragilità e vulnerabilità nella vita quotidiana delle persone . Molti lemmi sono cresciuti negli interstizi del lavoro sociale, “zone di faglia” foriere di cambiamento; la novità del testo è nel suo procedere per stati di avanzamento, aperto a nuovi protagonismi di partecipazione. Il Glossario Fragile infatti è un progetto in continuo aggiornamento e viene presentato come opera aperta, senza la pretesa di essere esaustiva né definitiva”.

Gaia Peruzzi, professoressa associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi Università Sapienza  di Roma, descrive la traiettoria della parola fragilità che dall’essere conseguenza della parola disabilità, diviene “una parola non più specifica della disabilità, bensì una lente per guardare tutto il mondo”, un cambio di paradigma.

Nello Trocchia, giornalista del quotidiano “Domani” e autore del libro-inchiesta “Pestaggio di Stato”, ambientato nell’Istituto di Pena Francesco Uccella di Santa Maria Capua a Vetere parla  del nesso tra parole e diritti. Si pone al servizio di un racconto continuo dei senza-potere, dei detenuti del reparto Nilo “che non hanno alle spalle i grandi studi legali, quelli che in realtà non contano niente “sui quali l’impatto della pandemia è drammatico; la sospensione  dei colloqui, unico  “momento nel quale il detenuto mette il piede fuori dal carcere” è una delle cause scatenanti della protesta. Benché la protesta rientri, nelle chat degli agenti di polizia penitenziaria  ribolle “una voglia di vendetta e di rappresaglia” rispetto ai fatti avvenuti: “domate il bestiame ” e “chiave e piccone” sono le parole usate che mostrano come nella mente degli agenti fossero rappresentati i detenuti del reparto Nilo, persone prive di diritti.

La riflessione di Raffaele Lombardi, Ricercatore di sociologia dei processi culturali e comunicativi Università Sapienza di Roma sottolinea come la parola diversità, che non ha di per sé un’accezione  negativa, si carichi negativamente  quando è usata come sinonimo di  “strano” ,“deviante” e “non normale”; assume i contorni di un problema di relazione, perché il diverso ha qualcosa  in meno o qualcosa di peggiorativo rispetto alla  maggioranza. La proposta è di rovesciare l’accezione: se è  “l’insieme delle caratteristiche che  rendono unica  una persona”, può diventare un contributo utile alla relazione con l’altro.

Elisabetta Gola -Professoressa di Filosofia e Teoria dei linguaggi Università di Cagliari afferma:  “Questo glossario arriva come una salvezza perché abbiamo proprio bisogno di capire come facciamo sentire le persone di cui parliamo, operando scelte che le facciano sentire al posto giusto, dove sono, non spostandole o paragonandole ad altre persone considerate socialmente più giuste”. Pertanto  “correggere il tiro, imparare a far meglio quello che facciamo, cioè comunicare, non serve alle persone con disabilità, serve a tutte le persone  perché il mito delle persone che non hanno problemi, che sono normali, è veramente un mito… non c’è nessuno davvero che sia perfetto”. Nel chiudere la presentazione

Maria Cristina Antonucci, Ricercatrice in scienze sociali CNR, definisce le parole del Glossario lenti di trasparenza, perché, invertendo la  logica che le usa come strumenti per stigmatizzare categorie legate alla diversità, allo svantaggio o a diverse forme di disabilità, “possono essere usate per rendere trasparente quella condizione sottostante a quello che la parola vuole significare”, restituendole il significato conforme alle autodefinizioni dei destinatari della parola. Le parole inoltre sono dispositivi relazionali in quanto, consentendo una definizione appropriata dell’altro, permettono di entrarci in relazione, ma anche motori di azione “perché nel momento in cui consentono agli individui di definirsi permettono anche di promuovere i diritti di cui sono portatori”.